Italiani due volte by Dino Messina

Italiani due volte by Dino Messina

autore:Dino Messina
La lingua: ita
Format: epub
editore: Solferino
pubblicato: 2019-01-30T16:00:00+00:00


Campi di detenzione (e tortura)

Un soldato detenuto a Mitrovica confidò a padre Roberto Fingerle: «Sono stato un anno e mezzo sotto i tedeschi, e ognuno sa che razza di malvagi erano. Ma la prigionia sotto i nazisti era rose e fiori in confronto a quella di Tito».

Un altro rapporto alleato, con la data del 20 agosto 1945, raccoglie le testimonianze dei sopravvissuti ai campi di detenzione jugoslavi. Ecco alcune testimonianze tratte sempre da Anatomia di un eccidio.

Il campo più famigerato era quello di Borovnica.

«Giuseppe Siccardi di Roccaforte (provincia di Cuneo), arrestato il 2 maggio a Trieste, dopo essere stato in vari campi di concentramento, arrivò a Borovnica, dove si trovavano all’epoca tremila prigionieri e dove, a causa del maltrattamento e del regime alimentare insufficiente, si verificavano in media fra i tre e i quattro decessi al giorno.

«Per l’intera durata dell’internamento non venne mai dato pane ai prigionieri, né esisteva alcuna forma di assistenza medica. La sveglia era alle 3.30 del mattino, il primo pasto alle 10, il secondo alle 17 e consisteva in una minestra di acqua e verdure secche. Durante l’ultimo periodo di prigionia veniva dato un po’ di caffè ai detenuti che erano ai lavori forzati. Gli internati venivano puniti per la benché minima infrazione: per esempio, uno di loro, arrivato all’appello con cinque minuti di ritardo, venne legato per i polsi a un palo; un altro, che aveva visto un’erba commestibile al di fuori del perimetro del campo segnato dal filo, quando allungò la mano per raccoglierla venne freddato da una guardia. Lungo la marcia per Borovnica, un prigioniero fu ucciso e un altro ferito per essersi chinati a prendere delle mele dal terreno.»

Il paragone con i campi di concentramento tedeschi è frequente. Avviene anche per il campo di detenzione sulle colline di Cirquenizza: «Il trattamento riservato agli internati era paragonabile a quello dei campi di concentramento tedeschi; denudati, privati di ogni effetto personale e poi vestiti con un tessuto che copriva a malapena il corpo, erano costretti a dormire per terra senza alcuna coperta».

Nel campo di Prestane, «dove si trovavano 1200 bersaglieri e 450 tra civili e impiegati statali […] i detenuti venivano frustati con il “gatto”, uno scudiscio fatto di fili elettrici legati insieme».

Tra i prigionieri italiani, alcuni erano stati catturati nella primavera 1945, molti passarono dall’internamento nella Germania nazista alla detenzione nei campi jugoslavi. Parecchi furono utilizzati per ricostruire strade e ferrovie. Nel 1945 ne tornarono in Italia circa 35mila, ancora 17mila erano detenuti. Alcuni sarebbero rientrati dopo due anni.



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